Nemmeno i buoni sono immuni alle critiche. Il dito indice del giudizio si alza anche contro gli insospettabili, i primi della classe, i senza-macchia che nessuno si sognerebbe mai di accusare. Eppure, ciò è accaduto.
E con chi??? Penserete voi. Con il Telefono Azzurro! Ma chi, quelli che aiutano i bambini??? Sì. Ma quelli dell’196 96??? Sì, proprio loro. Quelli dello spot con il ragazzino di “Io speriamo che me la cavo”??? Ebbene sì.
Ma che cosa avranno fatto di così terribile?
Facciamo un passo indietro.
La malattia da Covid-19 colpisce mortalmente soprattutto le persone anziane e i soggetti con patologie concomitanti. Nessuno è al riparo, ma sembra che il sistema immunitario dei piccoli reagisca prima e meglio e quindi sembrano essere meno vulnerabili. Tuttavia, le misure di sicurezza adottate per il contenimento del virus hanno penalizzato soprattutto i minori: il lockdown ha tranciato all’improvviso tutte le loro relazioni sociali, chiudendoli in casa per due mesi, lontano da amici (tanto più importanti, quanto più sono grandi), affetti e dalla loro routine quotidiana (tanto più importante, quanto più sono piccoli). Chi aveva un giardino, tanto meglio, altrimenti quattro mura di casa. Chi era abbastanza cresciutello da avere un account social, si teneva in contatto con gli altri almeno così. Ai piccoli, rimaneva solo la compagnia dei genitori, presi il giorno dallo smart working o dalle preoccupazioni di improvvise instabilità economiche. Al più si distraevano armeggiando in cucina insieme alla mamma o al papà, ma presto è finito anche il lievito, diventato introvabile, allora basta anche divertirsi sporcandosi le mani con zucchero, uova e farina… I compagni e gli insegnanti si sono trasformati in tanti tasselli sullo schermo di un pc, alcuni in pigiama, altri in quadratini neri che si riconoscevano solo dal nome scritto sopra. Scuola sì, scuola no, dad. Il tempo di capire cosa stesse succedendo e già i giga erano finiti per le continue connessioni.
Insomma, un caos epocale per questi ragazzi… Non c’è dubbio.
Sì, ma quindi cosa c’entra l’emergenza sanitaria con i bambini?
In pratica Telefono Azzurro voleva mettere in evidenza come, in tutto questo trambusto, le esigenze di bambini e adolescenti fossero state un po’ messe da parte per seguire altre priorità. Per farlo hanno ideato una campagna pubblicitaria dal soggetto #PrimaIBambini, realizzata con l’agenzia Havas. Lo spot, on air per la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza 2020, voleva essere d’impatto: in un palazzo infuocato, un eroe sfida le fiamme e raggiunge una stanza assediata dalle fiamme dove trova due bambini e un cane, e porta il via il cane. “Sembra impossibile? Eppure, sta accadendo oggi”. Chiosa una frase lapidaria.
Una crisi reputazionale
La valanga di commenti negativi che si sono innescati immediatamente sui social, scatenando quello che in gergo si definisce “flame” ha subissato l’organizzazione di improperi, catapultandola nel bel mezzo di una crisi reputazionale, dove a traballare è proprio il prezioso asset intangibile costituito dall’opinione altrui che, secondo recenti indagini, può arrivare a valere circa il 63% del valore di un’azienda. La stessa reputazione che, se buona, spinge a donare, a dare fiducia e credito verso l’associazione, e che se viene meno potrebbe chiudere i cuori dei più generosi e quindi anche i rubinetti delle liberalità.
Disastro o buccia di banana?
Non tutte le crisi, però, sono letali e alcune, per quanto fragorose, sono solo scivoloni su una buccia di banana. Se Telefono Azzurro sia incappata nel primo o nel secondo caso, sarà solo il tempo a dirlo. Nella fase iniziale del flame, sono i commenti negativi ad emergere, mentre gli endorser e tutte quelle persone che potrebbero spendere una parola in difesa, tacciono o vengono silenziate dalla mole ben più rumorosa degli avversi. Il mercato reagirà con i suoi tempi, questo vale anche per le organizzazioni no profit, sotto forma di donazioni, lasciti, 5perMille e via discorrendo.
Cosa è mancato?
Tuttavia, proprio perché all’inizio è impossibile valutare come ci si rialzerà da quella caduta, è vitale reagire nel modo più pronto ed efficace possibile. Agire in fretta è la prima cosa da fare, poi, nell’ordine, capire cosa sta succedendo e decidere se mantenere la propria linea, e quindi spiegare, anche se molti continueranno a non essere d’accordo, oppure chiedere scusa perché si capisce di avere sbagliato.
Telefono Azzurro ha tentennato: ha ritirato lo spot, ma ha tentato le scuse in un post su Facebook. Qualcuno ha fatto notare che la pezza poteva sembrare peggio del buco e allora è arrivata la resa totale. In questi casi serve un’azione forte. Se la figura è stata sfacciata, non si può reagire timidamente.
Cosa si può fare?
Un classico: chi di spot perisce, di spot reagisce.
Se la comunicazione è stata omnicanale, ha raggiunto più target e ha avuto una reach ampia. Una risposta limitata ai social avrà una reach inferiore, e un numero più ristretto di target, quindi non sarà matematicamente efficace. Una coperta troppo piccola. Un’idea potrebbe essere quella di fare un sequel dello spot che sia in grado di recuperare il precedente.
Il vero problema
Non ci sono limiti alla fantasia per chiedere scusa e queste sono spesso ben accette, il vero problema, ad esclusiva opinione di chi scrive, è che il Telefono Azzurro non ha ben chiare le idee. Se lo spot faceva parte di una strategia, ragionata, condivisa anche con più strati aziendali, deve essere portata avanti. Se il suo intento dichiarato era di raccontare l’occasione mancata dalla collettività di difendere i bambini con toni provocatori, allora deve proseguire su questa linea.
Vogliamo il marketing americano e le il bon ton europeo
Soprattutto gli addetti ai lavori, comunicatori, marketers, social media manager, guardano con entusiasmo alle strategie dei brand americani, aggressivi, competitivi, smaliziati. Poi ci proviamo noi, magari un po’ goffamente, non avendo dimestichezza con questi modi, e subito partono gli strali da tutte le parti. È vero, lo spot del Telefono Azzurro ha urtato la sensibilità di tanti, in primis degli animalisti, ma anche di chi ha visto nel cane salvato una metafora al ribasso delle persone malate e nell’eroe la parodia dei tanti sanitari che ogni giorno si espongono al concreto rischio di contagio per salvare altre vite. Insomma, effettivamente più che un incendio, lo spot faceva acqua da tutte le parti, però ha ridestato di colpo l’attenzione su questa categoria fragile e davvero un po’ messa da parte negli ultimi tempi, come se l’unica esigenza dei ragazzi fossero i banchi a rotelle, senza calcolare i danni enormi in termini di istruzione, occasioni perse nella costruzione della loro coscienza critica e i danni psicologici di varia natura che sono nati da questo brusco cambiamento.
Nella giornata che li ricorda, era giusto dare uno scossone, magari la prossima volta con più garbo.