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Un gap di competenze digitali

Le aziende italiane hanno dimostrato, negli anni precedenti, di affacciarsi timidamente ai nuovi strumenti di marketing e comunicazione offerti dal digitale, cogliendo in ritardo le opportunità rispetto a competitor stranieri.

In particolare le PMI hanno fatto prevalere un iniziale scetticismo anche di fronte a investimenti più contenuti e chiaramente misurabili rispetto ai canali tradizionali. In un momento successivo, al contrario, si è diffusa l’opinione che il digitale potesse sostituire in toto le altre soluzioni, una convinzione claudicante che non tiene conto dell’efficacia dell’approccio integrato, dove online e offline si coordinano in modo sinergico per un’azione a 360° per puntellare stabilmente ogni iniziativa.

Nonostante il breve momento bulimico, secondo il rapporto annuale Istat del 2019, ancora l’80% delle aziende italiane, cioè la quasi totalità, presenta un basso profilo tecnologico. Anche in questo caso, le motivazioni sono da ricercare nella mancanza di competenze. Nonostante siano migliorate le percentuali degli occupati nelle professioni digitali e del divario digitale tra gli addetti all’interno delle imprese, tuttavia le realtà produttive stentano ancora a trovare le competenze giuste sul mercato del lavoro. Il numero di persone che possiede competenze digitali elevate in Italia è inferiore alla media europea (in linea solo per quanto riguarda l’area software) e non è sufficiente a soddisfare la domanda di lavoro.

Parallelamente all’indagine sulle persone con competenze Stem e Ict, l’Istat ha sviluppato un filone di indagine relativo alla digitalizzazione delle imprese. Qui le anomalie si fanno ancora più evidenti: l’80% delle organizzazioni è caratterizzato da un basso livello di digitalizzazione, il 15,9% mostra un utilizzo delle tecnologie orientato principalmente al web e solo il 4,7% mostra un alto profilo di digitalizzazione.
Tinte ancora più fosche si vedono nell’ultimo report della Commissione Europea relativo all’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI – Digital Economy and Society Index): qui l’Italia si colloca al 25° posto su 28 totali, praticamente quartultima insieme a Romania, Grecia e Bulgaria, in un contesto UE che invece mostra la competitività degli altri Paesi grazie all’adozione delle tecnologie digitali, all’interno delle quali vengono contemplati fattori come la connettività, il capitale umano adeguatamente retribuito in termini salariali, i servizi pubblici digitali, l’utilizzo di internet e della tecnologia digitale in ambito business. La principale lacuna viene individuata proprio nella mancanza di competenze e, nonostante comunque un lieve miglioramento, le politiche di sviluppo proposte dalle istituzioni si dimostrano ancora insufficienti.


L’Italia, con una storica vocazione creativa, industriale ed esportatrice, rischia di rimanere indietro e perdere le occasioni che la digitalizzazione può offrire. Per rispondere all’urgenza di colmare il gap di competitività accumulato in questi decenni, dal 2012 esiste l’Agenda Digitale Italiana (ADI), un documento strategico realizzato in seguito alla sottoscrizione dell’Agenda Digitale Europea, definisce le linee guida, le modalità e le priorità di intervento per favorire le PMI nel processo di digitalizzazione e informatizzazione, ciò vuol dire connettere con i processi della filiera produttiva, agire con reattività e flessibilità nel mutevole contesto di mercato, esigente e imprevedibile. Le aziende della maggior parte degli Stati europei viaggiano a una velocità decisamente non sostenibile dalle nostre imprese, l’Italia cerca di tenere il passo con l’attivazione di iniziative come il Piano Impresa 4.0, che punta sulla digitalizzazione della PA come premessa per un’accelerazione del processo di digitalizzazione delle PMI.

Il Piano Nazionale Industria 4.0 nel Paese ha indubbiamente innescato un circolo virtuoso ed è riuscito ad accendere i riflettori sui temi dell’innovazione, a portare il digitale nel dibattito pubblico italiano, facendo comprendere che non si tratta di un tema per addetti ai lavori, ma di una questione cruciale, una leva trasversale a ogni settore e fondamentale per la crescita dell’economia. Il piano, attivato nel 2016, ha finora portato benefici soprattutto alle grandi aziende ma ha necessità ora di passare a una seconda fase, più inclusiva, che permetta l’accesso anche alle imprese più piccole, evitando che il distacco diventi insanabile. In questa seconda fase sarà vitale il contributo di università, realtà associative territoriali, consulenti e politici che sensibilizzino a una trasformazione più ampia e profondo. Ad oggi, gli investimenti dell’Industria 4.0 si sono concentrati soprattutto sul rinnovo degli impianti ma è arrivato il momento di sviluppare le competenze tecnico-operative e la consapevolezza manageriale necessarie per sfruttare anche a livello macroeconomico l’enorme opportunità del digitale.

Diversi gli investimenti stanziati, come il Fondo Nazionale Innovazione (FNI), inserito nella Legge di Bilancio 2019, un miliardo di Euro per start up e aziende innovative, inoltre nei prossimi tre anni sono previsti altri 45 milioni di Euro per l’intelligenza artificiale e lo sviluppo di tecnologie blockchain, mentre Confindustria ha puntato dritta alle competenze, creando 18 poli di innovazione digitale che rappresentano per le aziende il principale punto di accesso all’Industria 4.0.

Questi centri si fondano su partnership private tra università, centri di ricerca e aziende e consentono alle PMI di usufruire di servizi finalizzati all’introduzione di tecnologie digitali avanzate e di partecipare all’ecosistema innovativo a livello regionale, nazionale ed europeo.
Le aziende italiane possono avvalersi anche delle risorse messe a disposizione dai colossi del mondo digital, come Google che ha stretto un accordo proprio con Confindustria per offrire formazione sulle competenze digitali, machine learning e intelligenza artificiale. Supporto all’internazionalizzazione e presenza online delle aziende saranno gli aspetti centrali su cui si punterà per incentivare la digitalizzazione aziendale, con l’obiettivo finale di fornire alle imprese italiane gli strumenti necessari per cogliere totalmente il potenziale dell’aspetto digital, diminuendo e, in futuro, annullando definitivamente il digital divide nel nostro Paese.
Oltre a Google, anche Facebook ha deciso di investire in formazione tra le aziende italiane, attivando nel 2019, insieme a Edi Confocommercio, il roadshow “Boost with Facebook”, un programma gratuito rivolto alle PMI con l’obiettivo di favorirne la digitalizzazione, aiutandole a far crescere il proprio business e a promuovere i prodotti del Made in Italy sui mercati internazionali. Sulla piattaforma “Boost with Facebook” sono disponibili anche programmi di formazione e strumenti di e-learning gratuiti (come Blueprint). Facebook ha inoltre lanciato il sito “Made by Italy, Loved by the world”, ideato per supportare le PMI ad accedere ai mercati esteri potenziando l’export.


Il cambiamento, per essere efficace e capace di sfruttare le opportunità esistenti, deve partire dall’interno: in primo luogo imprenditori e manager devono maturare la convinzione dell’urgenza della trasformazione, delineando una strategia da mettere a terra seguendo un piano concreto e condiviso. A nessuno viene richiesto un volo pindarico, ma un cammino fatto di piccoli e stabili passi, con l’adozione di strumenti nuovi che siano integrabili e assimilabili via via, senza strappi, in modo da procedere lentamente ma senza sosta. Festina lente, il motto mediceo che si accompagna al simbolo della tartaruga, calza a pennello sul tessuto imprenditoriale italiano alle prese con la digitalizzazione, una realtà antica, dalla corazza dura verso i cambiamenti, ma inesorabile e capace di colmare con la resistenza le lacune dovute a una lenta resilienza.

I singoli imprenditori non possono affrontare in solitaria questa enorme, composita e globale sfida. La nascita di innovative forme di aggregazione di ogni tipo fra piccoli può essere strumento utile per accelerare i tempi e facilitare i processi.

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