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Boycott Facebook

Sono oltre 150 le aziende rilevanti che hanno interrotto le loro campagne su Facebook. Tra questi, marchi come Ford, Adidas, Starbucks, Unilever hanno avallato la campagna Boycott Facebook, a cui si aggiunge l’atteggiamento lassista da parte di Zuckerberg nei confronti dei recenti post del presidente Trump.

Tutto ha avuto inizio un giorno di giugno, durante una delle nostre solite riunioni settimanali di allineamento. A un certo punto, complice forse il caldo, forse gli strascichi di un’esposizione prolungata a un clima di catastrofe incombente (vedi COVID-19), le solite discussioni sulle metriche e sulle strategie di targeting hanno virato verso tematiche un po’ più “impegnate”, portandoci verso una riflessione sul razzismo sistemico all’interno dei social media, e sulle preoccupazioni legate alla recessione economica.

 “Reduced spenders” are companies that did not officially announce boycotts, but decreased their spending in July by at least 90 percent compared to June.
Source: Pathmatics

In quei giorni, tutta l’Italia stava facendo timidamente capolino da mesi di lockdown forzato, durante i quali orde di dirigenti pubblicitari, abituati a fare affari tra roof-garden a Milano e yacht in Costa Smeralda, erano stati obbligati a restare in casa, dove il pensiero di ipotetiche occasioni perdute si infrangeva fragoroso sulle loro sinapsi. L’industria, colpita duramente dal blocco, stava vedendo i suoi soliti appuntamenti commerciali glamour di metà anno, trasformarsi in una processione di presentazioni video registrate nei bagni e nei cortili di casa.

Il Black out tuesday

In questa situazione di stagnazione economica, il 25 maggio 2020 si abbatte improvvisamente un secondo avvenimento che avrà un impatto devastante sul mondo, e di riflesso, anche sulle aziende: l’uccisione di George Floyd, un giovane afroamericano deceduto in seguito all’aggressione di un poliziotto bianco a Minneapolis.

Le aziende avevano appena iniziato a discutere su come e se affrontare le manifestazioni mondiali suscitate dall’evento, quando il 2 giugno, divenuto noto in seguito come #BlackoutTuesday, una raffica di quadrati neri con solenni didascalie che promettevano di rimanere in silenzio sui social media per un giorno intero colpisce Instagram. L’idea originale dietro il “blackout” dei social media è venuta dai dirigenti neri Jamila Thomas e Brianna Agyemang, che volevano che i musicisti e le imprese utilizzassero l’hashtag #TheShowMustBePaused per mettere in luce il movimento Black Lives Matter, nato in seguito alla notizia della morte di George Floyd. Ma da qualche parte lungo la strada, il messaggio si è trasformato in qualcosa di completamente diverso, fino a quando migliaia di sostenitori ben intenzionati hanno pensato di dover postare un quadrato nero per dimostrare di non essere razzisti.

As of June 2020, there were over 24 million posts for the  #blackouttuesday. However, posting a black square for the Black Lives Matter movement is unhelpful and should not be a trend.
fonte: Instagram

Qualunque fosse l’intento originale, molti inserzionisti, rendendosi presto conto che qualunque altro post sarebbe apparso inopportuno, iniziarono a pubblicare quadrati neri al posto degli annunci a pagamento, un gesto volto a mostrare sostegno alle proteste (ma che in realtà nonostante le buone intenzioni, ha finito per seppellire il vero movimento di protesta, ma questa è un’altra storia).

In questa situazione già grave, durante la quale Facebook assiste inerme a un crescente boicottaggio da parte degli inserzionisti insoddisfatti della sua gestione della disinformazione e dei discorsi di odio, si aggiunge un ulteriore duro colpo, l’atteggiamento lassista da parte di Zuckerberg nei confronti dei recenti post del presidente Trump.

Ha inizio il boicottaggio

È bene precisare che Facebook genera il 98% delle sue entrate attraverso le sponsorizzazioni (nel suo ultimo trimestre ha guadagnato 17,4 miliardi di dollari dalla pubblicità), e che la pandemia aveva già danneggiato le vendite pubblicitarie in generale. Alcune aziende sono ancora “incredibilmente provate”, ha detto Carolyn Everson, vicepresidente di Facebook per le soluzioni di marketing globale, il Blackout Tuesday “ha avuto davvero un impatto molto significativo sulle nostre piattaforme”, ha aggiunto, con centinaia di aziende che hanno sospeso le attività di marketing.

Secondo la piattaforma di analisi pubblicitaria Pathmatics, Nike, Anheuser-Busch e altre aziende hanno tagliato la spesa quotidiana di Facebook e Instagram di oltre 100.000 dollari all’inizio di giugno. Alcuni piccoli inserzionisti hanno descritto il loro distacco da Facebook come una protesta contro la piattaforma e le sue consociate.

Alcuni dei brand che hanno aderito al boycott facebook
fonte: The New York Times

Simris, un’azienda svedese che coltiva alghe, ha scritto in un post di LinkedIn che “dipendeva in modo vitale dal marketing digitale”, ma che non era disposta a “continuare ad abilitare un sistema malato con i nostri fondi”. “Gli attuali sviluppi ci hanno reso moralmente impossibile continuare a nutrire la stessa mano che con compiacimento offre i suoi servizi come la principale piattaforma per la diffusione dell’odio, la promozione della violenza e la disinformazione”, ha scritto l’azienda.

Nel giro di poche settimane Boycott Facebook, il boicottaggio contro Facebook, ha iniziato a crescere vorticosamente, Unilever, uno dei più grandi inserzionisti del mondo, e decine di inserzionisti, come Honda, Verizon e Patagonia, scontenti dell’atteggiamento del gigante dei social media nei confronti dei messaggi del presidente Trump, delle proteste contro il razzismo e la brutalità della polizia, hanno sospeso le pubblicazioni.

Unilever ha aggiunto in una dichiarazione che non pubblicherà pubblicità su Facebook, Instagram o Twitter negli Stati Uniti almeno per il resto dell’anno, durante un “periodo elettorale fortemente polemico”, e che “continuare a fare pubblicità su queste piattaforme in questo momento non aggiungerebbe valore alle persone e alla società”. Unilever ha speso 42,4 milioni di dollari di pubblicità su Facebook l’anno scorso negli Stati Uniti (fonte Pathmatics).

Marc Pritchard, il chief brand officer di Procter & Gamble, ha detto in un discorso online, che la società non deve “fare pubblicità su o vicino a contenuti che noi consideriamo odiosi, denigratori o discriminatori”.

Agenzie pubblicitarie come IPG Mediabrands hanno dichiarato che stavano lavorando con aziende che volevano interrompere i contatti con Facebook.

La Coca-Cola company ha assunto un atteggiamento leggermente diverso, dichiarando che avrebbe bloccato tutti gli annunci a pagamento sulle piattaforme dei social media a livello globale per almeno 30 giorni, ma che non si sarebbe unita al boicottaggio ufficiale di Facebook. L’amministratore delegato della società, James Quincey, ha aggiunto in una dichiarazione che avrebbe usato il tempo per rivalutare i suoi standard pubblicitari e avrebbe informato le piattaforme che “ci aspettiamo maggiore responsabilità, azione e trasparenza da loro”.

La signora Everson ha ammesso che la decisione dell’azienda sulle dichiarazioni dei social media di Mr. Trump “non è una decisione che tutti condividono “, e ha inviato una nota personale ai migliori inserzionisti, corredata di un lungo post pubblico del signor Zuckerberg che prometteva di rivedere alcune delle politiche di Facebook. A quanto pare dalle sue dichiarazioni, la maggior parte delle lamentele dei clienti si sono concentrate su come smantellare un sistema di disuguaglianza razziale sistemica all’interno delle aziende di Menlo Park.

“Il novantanove virgola nove per cento della conversazione si è allontanato dalla posizione presa da Zuckerberg in merito al post di Trump”.

Non stupiscono queste parole quando si viene a sapere che la campagna Trump ha speso più di 2,8 milioni di dollari di pubblicità sulla piattaforma nel solo mese di maggio (fonte Advertising Analytics, una società di media tracking). E insieme alla spesa del Trump Make America Great Again Committee, sostenuto insieme al Comitato Nazionale Repubblicano, il team di rielezione del presidente è stato il 10° più grande inserzionista su Facebook dietro Samsung, Microsoft e la Walt Disney Company, secondo Pathmatics.

La maggior parte degli otto milioni di inserzionisti di Facebook sono piccole imprese o individui, che “continuano a dipendere e ad affidarsi alle nostre piattaforme”, ha detto la signora Everson. Molti di loro si sentono a disagio con la negatività diffusa all’interno della piattaforma, ma sentono di non avere altra scelta se non quella di continuare a promuoversi su di essa.

Alcune delle aziende che hanno aderito al “boycott facebook”

The Clorox Company$8.900.000
Coca-Cola$22.100.000
Daimler$52.600
Dunkin$15.600.000
Fossil$1.300.000
Ford$20.000.000
HP$24.700.000
Honda America$6.000.000
JanSport$742.800
The North Face$3.300.000
Patagonia$6.200.000
Patreon$178.700
Pfizer$54.500.000
Puma$2.100.000
Starbucks$94.900.000
Unilever$42.400.000
Vans$437.700
The Volkswagen Group$13.700.000

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